06 dicembre 2011

Il Mediterraneo e gli arabi - Treccani Portale

Il Mediterraneo e gli arabi - da Treccani Portale

di Antonio Fanella*


Il rapporto degli arabi con il Mediterraneo ha ben presto destabilizzato l’assetto ereditato dal mondo greco-romano, producendo per alcuni secoli una civiltà in grado di competere efficacemente con il mondo cristiano. Dopo alcuni secoli di frammentazione e decadenza, il mondo arabo mediterraneo, pur riuscendo a riscattarsi dal colonialismo europeo, non ha saputo produrre un modello di relazioni economiche e culturali in grado di alimentare la crescita delle due sponde.

La storia delle relazioni arabo europee passa per buona parte per il Mediterraneo, la cui sorte quindi è stata quella di accompagnarne e amplificarne le fasi, sia quando hanno prevalso le ragioni dello scambio, sia quando si sono imposte quelle del confronto e del conflitto.
La caduta dell’Impero Romano a opera delle popolazioni germaniche tra il V ed il VI secolo d.C. ha indubbiamente costituito per l’Europa occidentale un elemento di discontinuità nella sua storia, ma esso è stato successivamente attenuato dalla capacità delle popolazioni latine sottomesse nell’esercitare una notevole influenza culturale, religiosa e politica sui nuovi arrivati, depotenziandone via via la carica antagonista ed eversiva nei confronti del vecchio mondo latino. Ben maggiore è stato per il vecchio “mare Nostrum” l’impatto dell’irruzione delle popolazioni arabe nella sua storia. Le sue conseguenze sono state di lunga durata; tra esse, la fine definitiva dell’unità del mondo mediterraneo, già messa pesantemente in crisi da Vandali e Visigoti e solo parzialmente ricostituita dall’Impero bizantino agli inizi del VII secolo. Nel breve volgere del secolo successivo la frattura tra il Mediterraneo “europeo” e quello via via islamizzato si è allargata progressivamente, ancor più dopo la conquista araba della penisola iberica.

Sul Mediterraneo si affaccia una civiltà moderna e onnivora: l’Islam
Tra il 630 e il 732 gli Arabi, per secoli confinati nel deserto della penisola arabica, prima si affacciano in Siria e in Palestina, sottomettendo Antiochia, Aleppo, Gerusalemme, Gaza, Cesarea, poi è la volta dell’Egitto e dell’intero Maghreb, fino ad arrivare alla conquista della maggior parte della penisola iberica. La sconfitta subita nel 732 a opera dei Franchi di Carlo Martello, se permette all’Europa di respirare e ai Franchi di avviare una prima controffensiva, non mette in discussione la sostanza dei nuovi equilibri geografici e strategici dell’ultimo secolo. L’Islam si trova a governare un’area vastissima che va dalla Persia alla penisola iberica. Le tribù che un tempo vivevano nel deserto arabico erano state in grado prima di conquistare il mondo delle sofisticate città del litorale mediterraneo, poi di assorbire almeno parte della loro cultura e di reinventarsi come marinai e navigatori, tanto da minacciare l’egemonia marittima bizantina. Il mondo islamico riesce, sia pure non senza problemi, a integrare un numero crescente di non arabi (mawali) e con la dinastia abasside (750-1258) a elaborare un modello di sviluppo e di gestione della società non più fondato sui proventi della guerra ma sulla produzione e sul commercio. Ma se i califfi abassidi, stabilendo la loro capitale a Bagdad, segnano un’apertura importante verso il mondo e la cultura persiana, aprono il passo all’autonomizzazione e alla frammentazione dell’Islam mediterraneo: prima il califfato omayade di Cordova (929-1031), poi il califfato fatimida in Egitto (929-1171) rompono l’unità dell’Islam, innescando tendenze centrifughe che favoriranno al suo interno l’avvento dell’egemonia turca, la “reconquista” cristiana in Spagna e la progressiva ripresa di influenza dell’Impero Bizantino. Ormai il Mediterraneo appare sempre più come una realtà policentrica nella quale i diversi califfati arabi, cristiani occidentali e cristiani orientali giocano ruoli fondamentali senza peraltro pervenire a esercitare su di esso un controllo esclusivo, mentre sul piano economico i momenti di interazione reciproca si alternano con fasi di chiusura.

Il difficile percorso della modernità araba
Dal XII secolo il rapporto degli arabi con il Mediterraneo appare sempre più condizionato dai turchi, tanto da condividerne i successi e la successiva lenta decadenza. Lo sviluppo della potenza marittima dei portoghesi e degli spagnoli nel corso del secolo XV, il successivo ingresso degli inglesi nel mare un tempo latino e greco, indicano una loro crescente marginalizzazione in un mare già di per sé fortemente ridimensionato nel suo sviluppo economico e commerciale dalle scoperte nel nuovo mondo e dal dislocamento sull’Atlantico delle rotte commerciali più importanti; del resto parallela a quella che a partire dal XVII secolo. Stava interessando numerosi stati dell’area, a vantaggio di potenze extramediterranee come l’Inghilterra. Né l’avvento del colonialismo contribuisce a canbiare i dati del problema. La “modernità” delle potenze coloniali si traduce in uno sfruttamento delle risorse e nell’”esportazione” nelle colonie di nuclei di popolazione frutto dei surplus demografici europei dei secoli XVII-XVIII-XIX.

Successi e limiti della decolonizzazione
Nei primi anni del XX secolo un’importante novità è data dallo sviluppo, nel bacino del Mediterraneo e in altre zone del terzo mondo, di forti e aggressivi movimenti nazionalistici, decisi a recuperare il controllo sui propri spazi geografici e sulle relative risorse naturali. Grazie anche all’indebolimento dei Paesi colonialisti europei, provocato dalle due guerre mondiali e in particolare dalla seconda, movimenti come il Baath in Siria e in Irak, come il Neodestur in Tunisia, il nasserismo in Egitto sono forse il tentativo più radicale mai realizzato dei popoli arabi di riprendere tra le mani il proprio destino e di ridefinire i rapporti con i Paesi ex colonizzatori in una prospettiva al tempo stesso panaraba laica e repubblicana. Momenti chiave del risveglio arabo sono stati la nazionalizzazione del canale di Suez (1956), l’indipendenza della Tunisia (1956), la terribile guerra d’Algeria che ha comunque portato all’indipendenza di questo Paese (accordi di Evian, 1962). Sono anni nei quali, anche appoggiandosi al movimento dei Paesi non allineati, Paesi come l’Egitto perseguono un modello di sviluppo autocentrato che si sforza di mantenere il controllo sulle proprie risorse economiche. Questo modello, che si sforza di industrializzare il Paese senza farsi condizionare dalla divisione internazionale del lavoro, viene applicato nella sua pienezza in Paesi come l’Egitto e l’Algeria, ma entra progressivamente in crisi negli anni ’70 a causa della debolezze politiche accumulate, degli alti costi che implica e del comportamento scarsamente collaborativo dell’Europa, a lungo incapace di costituire un interlocutore valido e propositivo per l’altra sponda del Mediterraneo, anche dopo il promettente avvio segnato dalla Convenzione di Lomé (1975). La cui “politica delle preferenze” entra però in contrasto con la linea liberista del WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio.
La questione dei rapporti tra le due rive del Mediterraneo, quella europea e quella araba, rimane tra i problemi cruciali del mondo contemporaneo. Le due rive continuano ad avere rapporti verticali caratterizzati da solito schema vigente tra Paesi sviluppati e sottosviluppati. Da una parte l’emisfero nord, non necessariamente i Paesi rivieraschi, esporta prodotti finiti ad alto costo, dall’altra la riva sud esporta materie prime, prodotti a scarso valore aggiunto e lavoro a buon mercato. L’Europa del sud, essa stessa in ritardo nelle tecnologie di punta, mantiene la sua fragile supremazia sull’altra riva, ma senza essere mai riuscita ad innescare quel circolo virtuoso aumento degli scambi-crescita dello sviluppo-aumento degli scambi verificatosi a lungo tra i Paesi dell’Unione Europea.

* Insegna Storia e Filosofia in un liceo romano.


Pubblicato il 14/04/2011
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