26 aprile 2010

INCHIESTA ITALIANA Chi guadagna con la fabbrica delle buche-killer sulle strade

Oggetto: INCHIESTA ITALIANA Chi guadagna con la fabbrica delle buche-killer sulle strade

 
 

Inviato da Carlo tramite Google Reader:

 
 

tramite notizielibere di noreply@myblog.it (saverio174) il 25/04/10

INCHIESTA ITALIANA Chi guadagna con la fabbrica delle buche-killer sulle strade

 

A Roma censiti a marzo più di 240 tratti resi pericolosi dal manto dissestato. Così avvengono i trucchi: "Subito il catrame, poi lo strato si assottiglia". Per garantire la manutenzione lo Stato investe cinque miliardi ogni anno

 

ROMA - Sulle strade italiane muoiono ogni anno più di cinquemila persone. Come se un paese, o un quartiere, venisse cancellato di colpo. Il 30% delle vittime ha meno di trent'anni. Dati tristemente noti che delineano un fenomeno di enorme gravità, contro il quale le varie campagne di sensibilizzazione non sembrano incidere mai abbastanza. Ciò che si conosce meno è che tra le cause degli incidenti (mortali e no) pesa per il 20% il cosiddetto "ammaloramento" delle infrastrutture.

Ovvero, le condizioni - talvolta disastrose - delle nostre strade. Un problema che ha nell'asfalto, e nel suo continuo dissesto, una di quelle "emergenze nazionali" che non suscita l'attenzione riservata ad altri dissesti, ma che non risparmia niente e nessuno: grandi città e piccoli centri di provincia, arterie urbane e strade secondarie, aree industrializzate e zone rurali. Un'emergenza senza fine che provoca morti e feriti, costa ai cittadini centinaia di milioni di euro e fa di molti motociclisti una popolazione di traumatizzati reali o potenziali.

Sulla gravità degli incidenti causati dalle "buche-killer" c'è una casistica impressionante. È sufficiente ripercorrere la cronaca degli ultimi anni per imbattersi in una sequenza interminabile di incidenti, non di rado gravissimi. Eppure ogni anno, per la manutenzione della viabilità, lo Stato investe cinque miliardi di euro. I lavori stradali, rispetto all'ammontare degli appalti pubblici, rappresentano la più alta percentuale sia per gli interventi (il 30,6%) sia per l'ammontare economico (il 34%). Dunque un'industria di dimensioni considerevoli, che conta circa dodicimila imprese, il 14% del totale. Il solo Comune di Roma, maggiore "stazione appaltante" d'Italia, stanzia annualmente cento milioni di euro. Un fiume ininterrotto di denaro pubblico che però, in larga parte, nelle crepe dell'asfalto sembra letteralmente svanire. Dove vanno a finire questi soldi? Di chi sono le responsabilità se, oltre al decoro e all'immagine di una città, spesso non viene garantita neanche la sicurezza delle persone? E perché, cavalcando le proteste popolari, la politica fa di questo argomento un ariete elettorale che non porta quasi mai a soluzioni concrete?

Un business straordinario
La manutenzione delle strade viene definita "ordinaria" quando si occupa della riparazione. "Straordinaria" quando riguarda il rifacimento vero e proprio. In entrambi i casi è un business. Secondo Andrea Petrucci, imprenditore romano che copre l'intero ciclo dell'asfaltatura (dall'estrazione del basalto al lavoro finito), "i margini di redditività vanno dal 12 fino al 18-20%". Nel mondo dell'edilizia - spiegano alla Cgil - non c'è un altro comparto che garantisca ricavi così alti. Per questo gli appalti costituiscono una torta che alimenta gli appetiti dei "signori dell'asfalto", pronti ad aggiudicarseli con ribassi che spesso superano il 40%. Le cifre parlano chiaro: si prendono i lavori a un prezzo notevolmente inferiore alla base d'asta per poi risparmiare successivamente sui materiali, sulla manodopera e sul tempo, confidando nel fiume di appalti che, anno dopo anno, non s'interrompe mai. Insomma, c'è la sensazione che si giochi pesantemente sulla qualità delle opere. Senza dimenticare il capitolo dei controlli che gli enti appaltanti - a cominciare dai Comuni - dovrebbero eseguire con rigore e puntualità, pronti a contestare un lavoro difettoso. Ma questo sembra succedere di rado, e da qui nasce l'emergenza.

La capitale del pericolo
 In un Paese che sulle emergenze ha saputo costruire un'industria, è proprio la Capitale a condensare tutti i peggiori aspetti di questo problema. È a Roma, più che in qualsiasi altra città italiana, che questa "calamità ridicola", come la definiscono sui siti internet migliaia di utenti inferociti, può svelare lassismi, inefficienze e grandi sprechi.

La Città Eterna, la metropoli che vuole il Gran Premio di Formula 1 e le Olimpiadi del 2020, e che gli inglesi hanno recentemente ribattezzato "tra le più sexy d'Europa", è ai primi posti nella classifica delle città italiane più pericolose per gli incidenti (in testa c'è Napoli, chiude Ferrara) e guida la graduatoria delle capitali europee con un distacco incolmabile sulla seconda: Copenaghen. Nel 2008, 190 morti e 24mila feriti per 18.181 incidenti. Cantieri stradali se ne aprono continuamente, ma le insidie, anziché diminuire, aumentano. Sandro Salvati, presidente della Fondazione Ania (l'associazione delle compagnie di assicurazione), li definisce black-point. Un modo elegante per dire "trappole". A marzo erano 243 i tratti "pericolosi per buche" censiti con la collaborazione dei romani. Nel 2009 erano 215.

"Per risanare davvero le strade della Capitale bisognerebbe spendere un miliardo e duecento milioni in cinque anni", afferma Eugenio Batelli, presidente dei costruttori romani (Acer). "Con i cento milioni che il Comune stanzia ogni anno - aggiunge - non si riuscirà mai ad andare oltre la soglia del minimo indispensabile". Poi, per spiegare la scarsa resistenza di molte manutenzioni, chiama in causa il traffico e la pioggia (eccezionali entrambi), i continui scavi delle società di sottoservizi (cavi e condutture), fino alla storia ultramillenaria della città.

Non la pensa così il sindacato. "Il rifacimento delle strade spesso non rispetta i capitolati d'appalto", dice Roberto Cellini, leader regionale della Fillea-Cgil. "Quanto a certi controlli dell'ente appaltante, ci risultano carenti e talvolta molto benevoli", aggiunge Marco Carletti, della stessa segreteria.
Ombre sulla qualità dei lavori? Comportamenti discutibili nelle imprese? Sospetti di inefficienza sui controlli degli enti e sui collaudi delle opere? Il punto sembra essere proprio questo. Perché si potrebbe pensare all'edilizia stradale come a uno di quei settori-giungla pieni di norme confuse. Niente di tutto ciò. Le regole sono capillari. "Sbagliare" è difficile. E infatti non di errori si tratta.

La regola del risparmio
I lavoratori dei cantieri  -  gli "asfaltisti"  -  non parlano volentieri. Sanno che basta un niente per perdere il posto. Ma alla fine, con qualche cautela, alcuni dei più esperti accettano di raccontare. E ci spiegano come, in molti casi, si svolgano realmente i lavori. Manutenzioni "a regola d'arte"? Non proprio.
"Le buche si ricoprono alla meno peggio e più se ne fanno in una giornata, più si guadagna. Se non ci comportassimo così, sarebbe un'attività poco redditizia". Mario L. ha 43 anni, è romano e fa l'asfaltista sia "a terra" che alla guida dei macchinari. Nei suoi vent'anni di edilizia stradale ha lavorato per imprese molto diverse, "ma tutte, pressappoco, con gli stessi metodi", dice seraficamente, quasi che il suo racconto non costituisca una rivelazione di metodi illegali, bensì la sintesi dell'ovvio. "Risparmiare sul materiale e sul tempo è la regola", aggiunge.

"Di solito - dice Marco R., cinquant'anni - quando rifacciamo una strada, si parte bene perché dobbiamo superare i primi controlli. Poi il geometra dell'impresa ci ordina "abbassa, abbassa", e allora lo strato d'asfalto steso dalla finitrice si assottiglia. Così si fa molto prima e si risparmia sul materiale. Se poi vengono altri controlli, vedo che i tecnici incaricati spesso sanno già su quali tratti fare i carotaggi".
"Non funziona così dappertutto", dice Fabrizio E., quarant'anni, asfaltista da quindici con esperienze in varie città italiane. "Ho lavorato in Piemonte, in Toscana e in altre regioni. Una situazione come quella romana non ha eguali. Si comincia rispettando il capitolato, ma poi, via via che si procede, meno asfalto, meno tempo, meno tutto...".

E minore qualità del lavoro. Si risparmia sul bitume e sui materiali più costosi. Si assottigliano gli interventi. Si tira via. Le riparazioni durano poco, le strade sono continuamente da rifare e l'amministrazione pubblica - di solito dopo le proteste dei cittadini - è costretta a correre ai ripari. Magari saltando dei passaggi fondamentali come indire regolari gare d'appalto. Ma così facendo, non si alimenta l'ennesimo circuito del profitto fondato sull'emergenza? L'anno passato la giunta comunale di centrodestra guidata dal 2008 dal sindaco Gianni Alemanno ha distribuito lavori per novanta milioni di euro. Con quali criteri? E perché ci sono state polemiche ed esposti alla Corte dei Conti?

Il cartello dell'emergenza
"Le polemiche sono pretestuose", afferma Fabrizio Ghera, assessore ai lavori pubblici. "Abbiamo riparato il 516% in più di strade rispetto alla precedente amministrazione e abbiamo stanziato il 400% di fondi in più".
Se qualcuno gli fa rilevare che però le buche sono aumentate, e che in alcune strade (esempio la centralissima via Nazionale) i lavori e i disagi non finiscono mai, e che perfino la pacatissima Associazione dei familiari vittime della strada ha dichiarato che sul dissesto il Campidoglio è in forte ritardo, l'assessore punta l'indice contro la giunta precedente: è sua la colpa, con quell'idea di affidare in concessione gli 800 chilometri di grande viabilità cittadina (sui 5.500 totali) a un solo gestore: il consorzio "Romeo-Vianini-Strade Sicure".

Revocato nel novembre 2008 il cosiddetto "appaltone Romeo", Alemanno e Ghera si sono messi a studiare un loro piano anti-dissesto. Nel frattempo pioveva, il traffico era quello di sempre, le buche si allargavano, la gente si arrabbiava. Alla fine, sollecitati anche dal prefetto, sindaco e assessore hanno proclamato "l'emergenza". Quindi avanti di gran carriera con la "somma urgenza". Ed ecco la raffica di appalti, molti dei quali - dicono i numeri ufficiali - a trattativa privata, il che significa scegliere direttamente le imprese, senza gara pubblica. Una procedura che, specie nelle opere più rilevanti, rischia di privilegiare un ristretto cartello di imprenditori. I "signori dell'asfalto". Interpellato su questo metodo che un po' ricorda le antiche pratiche della Prima Repubblica, l'assessore Ghera ripete monocorde: "A giugno 2009 è stata pubblicata la gara di 77 milioni di euro per la manutenzione della grande viabilità e abbiamo fatto ripartire i cantieri lasciati sospesi dalla giunta Veltroni. I vostri numeri sono sbagliati".

"No, i numeri sono proprio questi", controbatte Massimiliano Valeriani, presidente Pd della Commissione trasparenza del Comune, mostrando la documentazione che ha inviato alla procura della Corte dei Conti. "Tra l'altro, la legge fissa un tetto di 500mila euro per la trattativa privata, e solo in situazioni di reale emergenza. Qui siano ben oltre". Ma come si è arrivati a sfondare i tetti prestabiliti?

Il primato della trattativa privata
L'appalto in trattativa privata è una pratica che l'Autorità di controllo del settore considera subordinata a precisi criteri di urgenza ed efficienza. D'altro canto, per garantire la trasparenza del mercato, una via maestra c'è da sempre: la procedura aperta, ovvero la gara con bando pubblico. Ma dal 2007 al 2009, secondo i dati dell'Authority, i lavori appaltati dal Campidoglio con procedura aperta sono calati dal 36,8% al 13,8, e quelli a trattativa privata sono passati dal 28,4% al 74,9. Il che, in soldoni, significa essere balzati da 6 milioni di euro a 89 milioni. Una "esplosione", la definiscono un po' a mezza bocca gli esperti dell'Authority. Anche i loro dati sono "sbagliati"? Improbabile. Però potrebbero essere parziali, visto che l'Authority non ha ancora il quadro completo sulle aggiudicazioni del 2009. La sensazione è che la quantità dei lavori affidati discrezionalmente dal Comune di Roma potrebbe essere ancora maggiore. Da verificare se, nel frattempo, le strade saranno migliorate, rendendo la Capitale un po' meno insidiosa per i suoi abitanti e per i nove milioni di turisti che ogni anno la attraversano.

 

http://www.repubblica.it/cronaca/2010/04/23/news/chi_guadagna_con_la_fabbrica_delle_buche-killer_sulle_strade-3553554/

 

di LUIGI CARLETTI  fonte repubblica


 
 

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22 aprile 2010

Milano

MILANO.IT

il comune: progetto troppo oneroso, gli architetti trovi gli sponsor

Io, Abbado e la città: un sogno che finisce

Milano rinuncia agli alberi di Piano

Le città sono immobili. Talvolta bellissime, ma immutevoli come le pietre di cui sono fatte: sono i suoni, gli odori, la gente e gli alberi ad animarle. Tutto ciò che è effimero e cambia le rende sempe nuove e inattese, le tiene vive. Mi chiedo cosa sarebbe a Parigi Place des Voges senza i tigli.

Ci passo sotto tutte le mattine andando in studio, scandiscono il passare del tempo e il susseguirsi delle stagioni: è una delle tante cose che gli alberi fanno in una città. Mi domando se continuerei lo stesso a passarci ogni mattina, oppure se cambierei strada per incontrare altri alberi. Un delicato gioco d’equilibrio, un’alchimia tra durevole e passeggero; forse è questo il segreto di una città felice? Sono architetto, e naturalmente sono innanzitutto sedotto dalla città costruita: la sua è una bellezza edificata dal tempo. È il tempo che rende le città così complesse e così ricche, specchio come sono di infinite vite vissute tra le loro mura. Le città belle sono una delle più straordinarie e complesse invenzioni dell’uomo, veri monumenti allo stratificarsi del tempo. Ma sono gli alberi a scandire il tempo che ha reso belle queste città. Sono loro la finestra aperta sul ciclo della natura, che poi è anche il ciclo non eterno della nostra vita. E ci ricordano che anche noi facciamo parte della natura, con tutte le conseguenze del caso. Per questo guardare un albero in un dialogo silenzioso è una piccola ma profonda seduta di autoanalisi. Un momento di silenzio e di meditazione, una breve pausa dedicata allo spirito. Con gli alberi si stringe un patto di complicità contro il tempo che passa. Si scambiano promesse alla fine di ogni stagione, e ci si dà appuntamento al ritorno di quella successiva. Piantare gli alberi in città è un gesto d’amore, ma è anche un gesto generoso che altri godranno dopo di te. Nel farlo sai che solo tra cinquant’anni quell’albero sarà adulto e svolgerà la sua straordinaria missione. Se ne era già accorto Cicerone quando scriveva «Serit arbores, quae alteri saeclo prosint» (i vecchi piantano alberi che gioveranno in un altro tempo).

Niente di nuovo, ma non bisogna dimenticarlo. Sembra un gesto umile e semplice ma è un gesto carico di significato e di fiducia nel futuro. Ci sono alberi antichissimi, come il pino di Matusalemme in California o l’abete rosso Old Tjikko al confine tra Svezia e Norvegia, che sono cresciuti quando l’uomo non aveva ancora inventato la ruota. Neppure il deserto del Sahara esisteva, e l’Europa del Nord era mezza coperta dai ghiacciai. Italo Calvino, cresciuto col padre botanico sulle alture di Sanremo, fa vivere la sua intera vita al giovane Barone Rampante sugli alberi di Valle Ombrosa, in Liguria, per ribellione e per scelta poetica. Ed il giovane Barone vive, si innamora, milita e viaggia sino in Spagna senza mai scendere dagli alberi. Straordinaria metafora della magia degli alberi, che anche in città rappresentano una parentesi di trascendenza... Ma la città ha bisogno di alberi anche per una ragione molto più pratica e concreta. C’è un effetto termico detto effetto città per cui la pietra, i mattoni e l’asfalto si infuocano d’estate elevando la temperatura media di 4/5 gradi. Questo effetto è enormemente mitigato da un importante presenza di alberi e dal loro fogliame. L’ombra sotto gli alberi non crea solo uno straordinario spazio urbano e sociale, ma abbassa anche la temperatura in modo considerevole. Gli alberi contribuiscono anche a modificare l’umidità relativa verso un maggior conforto fisico. Infine collaborano, come è noto, all’assorbimento del CO2 emesso dal traffico. Per fare un esempio, 100mila alberi compensano lo smog prodotto da 5.000 automobili. Se vogliamo quindi che le città diventino luoghi più vivibili, e che non facciano pagare un eccessivo prezzo al loro essere luoghi di vita associativa e di scambio, allora hanno anche bisogno degli alberi che così assumono un ruolo tutt’altro che decorativo.

Ho lavorato su questo tema, come architetto e urbanista, in molte città in giro per il mondo, fianco a fianco con straordinari botanici e uomini di scienze. Mi sono sentito dire che gli alberi in un contesto urbano hanno bisogno di terra per le radici, e gliela abbiamo data. Mi sono sentito dire che gli alberi in città soffrono, e abbiamo trovato il modo di farli stare bene. D’altronde, se soffrono gli alberi figuriamoci la gente e i bambini. Mi hanno fatto notare che alcuni alberi provocano allergie, e abbiamo selezionato piante che non emettono pollini. E poi che perdono le foglie, e bisogna raccoglierle: giusto. E poi che coprono le insegne dei negozi: vedete voi. E infine, che rubano spazio ai parcheggi per le automobili. E su questo hanno ragione: gli alberi prendono inevitabilmente il posto dei parcheggi e del traffico automobilistico. Ma è proprio quello che ci vuole: questo è l’aspetto più importante, nella visione umanisticamente corretta delle nostre città nel futuro. Occorre assolutamente salvarle dal traffico e dall’enorme quantità di parcheggi che le stanno soffocando. Più parcheggi si fanno e più traffico si attira, come la fisica insegna. Alcune città più dotate di trasporti pubblici l’hanno capito: a Londra è vietato costruire parcheggi in centro, a Stoccolma per disincentivare l’uso dell’auto una fermata del tram non è mai più lontana di trecento passi, e se il mezzo non arriva entro venti minuti il passeggero mancato ha diritto al taxi gratis. Occorre mettere tutte le risorse per costruire trasporti pubblici e dotare le nostre città di parcheggi di cintura. È chiaro che gli alberi in città hanno un ruolo importante in questa visione. C’è chi, cinicamente, dice che questo non avverrà mai. Scommettiamo che sì? È ormai inevitabile: spendiamo meno in parcheggi e sottopassi, e investiamo nel traffico pubblico.

E poi costruiamo una cintura verde come baluardo alla crescita scriteriata ai bordi delle città, rinforziamo i parchi urbani, cogliamo ogni possibile occasione di riconversione industriale o ferroviaria per aumentare gli spazi verdi e sfruttiamo ogni occasione ragionevole per dotare di alberi le strade, le piazze, i viali dei centri urbani. Così salveremo le città. Insomma, bisogna piantare alberi nelle città, e bisogna farlo con le Soprintendenze, perché si deve valutare ogni volta il rapporto sottile tra la città costruita, storia e monumento, e l’effimero degli alberi che cadenzano le stagioni. Gli alberi così fragili e vulnerabili diventano testimoni di una rivoluzione che è ormai irrinunciabile. Cito ancora Calvino, che nelle Città Invisibilici esortava a riconoscere in ogni città, anche la più brutta, un angolo felice. E in un angolo felice c’è sempre un albero.

Così quando Claudio Abbado, con la sua ormai famosa richiesta di remunerare «in natura» il suo ritorno alla Scala, mi chiese di aiutarlo a piantare alberi a Milano risposi con entusiasmo. Non solo perché c’e un nesso tra gli alberi e la musica (ambedue nel segno della leggerezza, del momentaneo e del passeggero) ma anche perché sono metafora di una visione diversa del futuro nostro e delle nostre città bellissime. Certi progetti hanno bisogno di un grande disegno e non sempre le amministrazioni ne sono capaci. Ho pensato che con gli alberi a Milano si potesse ricreare quell’equilibrio che è il segreto di una città felice. Anche perché si sta preparando all’Expo 2015, proprio sul tema della natura e della sostenibilità. Purtroppo devo prendere atto che la città di Milano non intende proseguire su questa strada. Peccato.

Renzo Piano
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TRE NUMBER ONE AWARD 2010: 6 HOTEL-ICONA DEL 21ESIMO SECOLO

TRE NUMBER ONE AWARD 2010: 6 HOTEL-ICONA DEL 21ESIMO SECOLO
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21 aprile 2010

Bankitalia: le famiglie più povere

Bankitalia: le famiglie più povere
Scritto da Massima Di Paolo il 10 febbraio 2010

Bankitalia ha pubblicato uno studio dal quale emerge che le famiglie italiane, a causa della crisi, nel biennio 2006-2008 hanno visto il reddito medio contrarsi di circa il 4 per cento. Il 20 % delle famiglie ha un reddito mensile inferiore a circa 1.281 euro, il 10 % superiore a 4.860 euro. I  lavoratori indipendenti ne hanno risentito di più rispetto ai dipendenti e agli individui in condizione non professionale. Inoltre, la contrazione è stata maggiore per gli individui di età inferiore ai 55 anni ed in particolare per quelli con meno di 45 anni.

Fonte: www.unità.it

Articolo prelevato da Lavoro e Diritti - http://www.lavoroediritti.com
Link all'articolo: http://www.lavoroediritti.com/2010/02/bankitalia-le-famiglie-piu-povere/

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20 aprile 2010

STRADE DI FRANCIA : palla per Gordon

> Blog: STRADE DI FRANCIA
> Post: palla per Gordon
> Link: http://stradedifrancia.blogspot.com/2010/04/palla-per-
> gordon.html
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FISCO: GDF SCOPRE MAXI EVASIONE. SEQUESTRATO FONDO IMMOBILIARE DA 20 MLN

26-03-2010
FISCO: GDF SCOPRE MAXI EVASIONE. SEQUESTRATO FONDO IMMOBILIARE DA 20 MLN


(ASCA) - Roma, 26 mar - La costante attivita' di repressione degli illeciti fiscali condotta dalla Guardia di Finanza del Comando Provinciale di Napoli, sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Noia, ha consentito ancora una volta di conseguire significativi risultati, in termini di sottrazione alla disponibilita' degl'indagati, gia' nella fase delle indagini preliminari, di beni equivalenti per valore al profitto conseguito con la loro condotta criminale.

E infatti, utilizzando il meccanismo della confisca di beni equivalenti, per valore, al profitto conseguito con alcune tipologie di reato, introdotta con la legge finanziaria del 2008, Procura della Repubblica e Guardia di Finanza hanno gia' raggiunto importanti risultati, attraverso provvedimenti emessi dal G.I.P. di Noia, nel settore di sequestri di denaro contante, immobili, partecipazioni societarie ecc. Un particolare risalto va dato all'attivita' eseguita ieri, in cui Ufficiali di P.G. in servizio presso la Guardia di Finanza di Napoli, nell'ambito di indagini coordinate dall'Autorita' Giudiziaria di Noia, hanno dato esecuzione al sequestro preventivo, disposto dal giudice per le indagini preliminari, di quote di un fondo d'investimento immobiliare di proprieta' di Fedele Ragosta e Anna Maria Iovino, per un valore di 20,6 milioni di euro. Il fondo, in realta' dotato di risorse di ben maggiore entita', detiene quote per l'intera proprieta' di alberghi ed immobili di prestigio siti in Roma, nella Costiera Almalfitana ed a Taormina.

La misura cautelare reale, spiega una nota, fa seguito all'accertamento di una rilevante evasione all'IVA da partre di societa' del Gruppo Ragosta, operanti nel settore della produzione e commercializzazione di metalli ferrosi.

Le indagini hanno consentito di individuare un complesso sistema di frode ai danni dell'Erario, mediante il ricorso a crediti IVA inesistenti per 146 milioni di euro, sorti a fronte di operazioni commerciali fittizie pari a 730 milioni di euro.

Si e' dunque accertato in altre parole, che, utilizzando una societa' del gruppo esclusivamente a questo fine, gli amministratori del gruppo avevano costituito un imponente - come detto, quasi 150 milioni di euro - credito Iva sulla base di operazioni commerciali del tutto inesistenti ( per circa, come detto, 730 milioni di euro).

L'articolato disegno criminoso prevedeva poi la monetizzazione del credito IVA mediante la successiva compensazione con il debito d'imposta sorto in capo alle societa' effettivamente operative, tutte componenti del gruppo Ragosta. Queste dunque, risparmiavano gli esborsi per buona parte di quei 150 milioni che avrebbero dovuto versare all'erario per l'IVA sulla propria attivita'.scomputandoli dal credito cosi illecitamente procurato.

Il principio del 'tempus regit actum' ha imposto la riduzione del sequestro alla sola somma indicata (20 milioni di euro) rispetto a quella effettivamente lucrata dal gruppo, per complessi motivi di successione delle leggi penali nel tempo.

Gli ulteriori e piu' approfonditi accecamenti di polizia giudiziaria, condotti anche attraverso lo strumento delle indagini bancarie, hanno permesso di acclarare che il profitto dell'evasione e' stato successivamente immesso nelle societa' immobiliari di famiglia, per essere reinvestito nell'acquisto di lussuosi alberghi e immobili siti su tutto il territorio nazionale, alcuni dei quali dati in affitto ad Enti Pubblici.

res/sam/bra

(Asca)
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Chiedi alla polvere ....considerazioni sul vulcano islandese e il lavoro

Fonte: Il Sole 24ore.com - Filo diretto con gli aeroporti
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14 aprile 2010

Il liberismo ha i giorni contati (Baustelle)

E’ difficile resistere al Mercato, amore mio
Di conseguenza andiamo in cerca
di rivoluzioni e vena artistica
Per questo le avanguardie erano ok,
almeno fino al ’66
Ma ormai la fine va da sé
E’ inevitabile
Anna pensa di soccombere al Mercato
Non lo sa perché si è laureata
Anni fa credeva nella lotta,
adesso sta paralizzata in strada
Finge di essere morta
Scrive con lo spray sui muri
che la catastrofe è inevitabile

Vede la fine in metropolitana,
nella puttana che le si siede a fianco
Nel tizio stanco
Nella sua borsa di Dior
Legge la Fine nei saccchi dei cinesi
Nei giorni spesi al centro commerciale
Nel sesso orale, nel suo non eccitarla più
Vede la Fine in me che vendo dischi
in questo modo orrendo
Vede i titoli di coda nella Casa e nella Libertà

E’ difficile resistere al Mercato, Anna lo sa
Un tempo aveva un sogno stupido:
un nucleo armato terroristico
Adesso è un corpo fragile
che sa d’essere morto e sogna l’Africa.
Strafatta, compone poesie sulla Catastrofe

Vede la fine in metropolitana,
nella puttana che le si siede a fianco
Nel tizio stanco
Nella sua borsa di Dior
Muore il Mercato per autoconsunzione
Non è peccato, e non è Marx & Engels.
E’ l’estinzione, è un ragazzino in agonia.
Vede la Fine in me che spendo soldi
e tempo in un Nintendo
dentro il bar della stazione
e da anni non la chiamo più.

(Grazie a Culodigomma per questo testo)
[ Il Liberismo Ha I Giorni Contati Lyrics on http://www.lyricsmania.com/ ]
Il liberismo ha i giorni contati (Baustelle)SocialTwist Tell-a-Friend

STRADE DI FRANCIA: risposta ad una elettrice esitante (2.0) (sarebbe stato intrigante... ndr)

STRADE DI FRANCIA: risposta ad una elettrice esitante (2.0)
STRADE DI FRANCIA: risposta ad una elettrice esitante (2.0) (sarebbe stato intrigante... ndr)SocialTwist Tell-a-Friend

07 aprile 2010

Dalla cornice...


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“Le strade che non portano a Roma” di Georges Brassens


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06 aprile 2010

Giornata di lavoro aperta a tutti i soci e simpatizzanti del gruppo “Le Tracce"


 
 

tramite BeppeBlog di Beppe il 05/04/10

Il gruppo naturalistico Le Tracce organizza una giornata di lavoro aperta a tutti i soci e simpatizzanti del gruppoper domenica 11 aprile 2010. L'amico Fausto de Stefani, alpinista di fama mondiale, sesto uomo al mondo ad avere scalato tutti gli ottomila, presidente di Mountain Wilderness naturalista, fautore di 4 scuole per bambini di strada in Nepal (progetto alla quale ha partecipato anche il nostro gruppo e Marco Paolini), impegnato nel diffondere un messaggio di conoscenza e protezione ambientale nelle scuole, ha ereditato un bosco sulle colline nella zona di Desenzano del Garda.

Lo sta ripulendo per trasformarlo in un bosco didattico per proporre un percorso tematico ai ragazzi delle scuole e non solo. Abbiamo aderito all'iniziativa e vorremo contribuire dandogli una mano. Si tratta di andare lì e trascorrere una domenica lavorando nel bosco. Un'occasione più unica che rara di trascorrere una giornata con un grande personaggio della montagna, sentendoci parte di un progetto che va a seminare cultura ambientale per le generazioni future.

Chiediamo a tutte le persone interessate (capaci di lavorare con le mani e disposte a far fatica) di partecipare a questa uscita munite solo di guanti da lavoro e vestiti con abiti alla "bona" (da lavoro, consunti e sdruciti, perché tali saranno al termine della giornata!). Se c'è qualcuno che ha e può portare un motosega, ben venga. Naturalmente bisogna portarsi cibo al sacco e da bere.

Sono bene accette torte, vino, pane, formaggio, salami…, chi non può contribuire lavorando, può sempre fare da vivandiere. Per motivi organizzativi abbiamo bisogno assolutamente di avere conferma telefonica della vostra partecipazione allo 0423.496114 (senza lasciare messaggi, ma parlando direttamente con Vittorino Mason). La partenza è fissata per le 6.30 di domenica 11 aprile (solo con bel tempo) con ritrovo presso il piazzale del centro commerciale Giorgione (Coop) davanti al cimitero in Via Borgo Valsugana a Castelfranco Veneto.

Saluti da Vittorino Mason e Piera Biliato


 
 
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02 aprile 2010

Autodesk continua a supportare la Open Source Community

MILANO, 1 aprile 2010 — Autodesk Inc. (NASDAQ: ADSK) ha annunciato di aver donato il codice sorgente di AutoCAD LT alla Open Source Community. Autodesk intende proporre AutoCAD LT sotto licenza GPL (General Public License), concedendo quindi ai licenziatari il permesso di modificare il programma, di copiarlo e di ridistribuirlo con o senza modifiche, gratuitamente o a pagamento. Si tratta del terzo importante contributo che Autodesk offre alla Open Source Community, dopo MapGuide Open Source, che consente agli utenti di interrogare, analizzare e visualizzare informazioni spaziali sul Web in modo veloce e flessibile, e la tecnologia Feature Data Object (FDO), che mette a disposizione una potente interfaccia di programmazione delle applicazioni per accedere a qualsiasi tipo di informazione geospaziale.
Pubblicato da Maurizio Simoni a 08.33
Etichette: AutoCAD
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